Il corpo è materia e, come tale, si muove nello spazio sollecitato dai più svariati impulsi. Le irrequietezze di un’anima possono dunque fare a meno delle parole e trovare dimora nell’espressività della danza che sintetizza e orchestra le pulsioni di ogni centimetro cubo del corpo di un individuo.
Da Buenos Aires ai Magazzini del Sale la strada è lunga, ma il teatro miracolosamente annulla le distanze e Silvina Alfie, versatile artista argentina che lavora su una drammaturgia tridimensionale entro cui la parola non detiene uno spazio privilegiato, affida alla performer Mache Figini il compito di interpretare la donna universalmente concepita.
“Ellas en mi” è un lavoro scenico di gran pregio, costruito sull’archetipo femminile alla ricostruzione drammaturgica del quale concorrono teatro e danza, sorretti da un’impalcatura scenografica, da luci, musiche e costumi che devono dire, senza chiaramente proferire parola.
Subentra allora l’affabulazione mutuata dalle arti performative che sfruttano l’uso del corpo e degli oggetti extracorporei. Il risultato è strabiliante e richiama alla memoria zone ancestrali, universi mai appresi, pulsioni primordiali cui le gabbie mentali dell’io non danno mai voce.
Mache Figini, sia che sollevi un fascio di rami secchi lasciandosi schiacciare dal peso lieve al tramonto dei suoi anni, sia che si liberi del velo nero della vecchiaia o sfoggi con spregiudicatezza i colori accesi dell’età in cui ancora è possibile compiere acrobazie, è donna. Perché si è donna per sempre. E si è donna per sé e, quel che è peggio, per gli altri. Almanaccando fragilità, insicurezze, paure. E mescolandole a una sensualità mai paga di sé, che danza e talvolta si dispera.
Sullo sfondo le nuvole di un cielo che non è mai come ce lo siamo immaginato. In testa il maledetto istinto a pianificare ogni cosa, consapevoli di non potere neppure prevedere come sarà, come saremo tra cinque minuti.
Figlia, moglie, madre, all’occorrenza amante. Un ruolo dopo l’altro, un ruolo dentro l’altro. E tutti a chiedere. Lei sola lì, nell’illusione di scampare alla solitudine confezionando la famiglia, come da tradizione. Per poi, tuttavia, riconoscere i muri di un ospizio e finalmente comprendere che soltanto “quando muori non hai niente da temere”.
Silvina Alfie affida a Mache Figini un universo da scomporre e ricomporre prima di appenderlo definitivamente alle grucce che sostengono brandelli di ciò che siamo stati. Si confondono l’anima che muove la regia e quella che si cela dietro ogni battito della performer. E nel mix che ne deriva ogni donna ritrova un po’ di sé. All’orizzonte l’unica salvezza possibile: ridiventare terra, aria, acqua, fuoco.
(da Infomessina.it)
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