Giusi Arimatea

TEATRO

C’ERA L’ACCA

Che QA – QuasiAnonimaProduzioni volesse fare Resistenza, osteggiando un sistema falsamente democratico, era già chiaro nelle premesse. E che avesse scelto di farlo restituendo senso alle parole, stimolando il pensiero critico e scalzando il disagio individuale pure. 
L’Arte che scandaglia l’animo umano e l’umana psiche. L’Arte, nelle sue svariate forme, al centro d’ogni cosa. 
Tant’è che nella consapevolezza che un mondo migliore sia ancora possibile, il cartellone della quinta stagione di Atto Unico ha voluto puntare ancora una volta sulla riflessione, quella da cui spontaneamente scaturiscono domande, quella che scarta le risposte preconfezionate, quella che trae linfa vitale dalle parole e con le parole si alimenta.
Questo il terreno su cui si innesta la produzione di QA “C’era l’acca”, prima assoluta andata ieri in scena nel contesto gotico di Santa Maria Alemanna. 
Da un’idea di Vincenzo Quadarella la nuda e cruda ribellione alla mediocrità, passando a setaccio la nostra era, che di pochezza, approssimazione, incompetenza, ignoranza è tristemente intrisa. 
Ruotano attorno al paradosso del gatto di Schrödinger, la cui vita o morte risultano stati puri e pertanto d’uguale peso scientifico, le amare riflessioni sul presente. E assumono ora le sembianze d’un avveduto gatto nero, che perspicacemente fugge l’umanità, ora quelle di un gruppo musicale, “La casa delle candele di carta”, che sulle note edifica giudizio, indignazione, ammutinamento. Mentre rimarca le assenze: dell’acca, dell’hic et nunc, del gatto nella scatola, del teatro. Mentre la cera si scioglie, precipita e si solidifica ai bordi della candela, come la contemporaneità in un’ipotetica struttura. 
E se il teatro, dal testamento artistico e privato di Carmelo Bene, è “uno spettacolo scandaloso, com’è scandalosa ogni cosa divina” allora ci sta che la giornalista, interpretata da Loredana Bruno, compendi tutto il vuoto morale di un sistema cancerogeno destinato a fagocitarsi in totale autonomia. Un sistema, fondato sulla cultura più stantia, dove distingui i cretini dalle fotografie che si fanno accanto alle persone intelligenti, come se l’intelligenza potesse essere trasfusa. Un sistema che destina ai cretini i posti di rilievo. Un sistema che dapprima ci costringerà a scegliere tra i meno mediocri, tra i meno ignoranti e che, presto o tardi, ci chiuderà in una scatola, vivi o morti, come il gatto. 
È Giada Vadalà il gatto nero che si aggira per il teatro, che punta la torcia sugli spettatori, che rischiara alla sua maniera le coscienze, che ha già le tasche piene degli esseri umani e che pertanto non vuole lasciarsi trovare. 
Uomini e animali di questo tempo, gli uni più colpevoli degli altri, si guardano allo specchio e si scoprono divisi a metà. Trascorrono un’esistenza sdoppiata tra il reale e un non luogo che non esiste. Si domandano se sono o non sono. E al dilemma amletico sostituiscono il supercontemporaneo essere con tutto l’essere o non essere. 
La scatola che racchiude il paradosso di Schrödinger e che semina il panico nella città di Devastopoli risulta allora un mero pretesto per puntare l’indice contro il sistema. Per voltargli le spalle ancor prima d’essere inquinati. Come il gatto che va via ancora prima di arrivare. Tutta una questione di prospettiva, insomma. Tutto un mondo marcio che crolla se solo si smette di pensare, agire, sentire meccanicamente. Se per un po’ si rinuncia allo smartphone, alla manicure, al rossetto, a Fabio Volo. Se l’acca ridiventa un’aspirazione. Se l’uomo ridiventa umano. 
Lo spettacolo di Quadarella nasce dal pensiero, dallo studio, dal confronto e dal dubbio. Nasce dal rifiuto. E nasce pure da spunti e suggestioni che provengono dall’universo letterario. Era inevitabile che tanta roba si accatastasse un po’ alla rinfusa sulla scena. O che magari si perdesse tra il suono degli strumenti, tra le parole cantate. Tra la dirompente voglia di vomitare tutto quanto lo schifo. Tra le fessure di una scatola che ci contiene e all’interno della quale viviamo e non viviamo.

(da Tgme.it)

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