Giusi Arimatea

TEATRO

DELIRIO BIZZARRO

Rende maggior merito alla drammaturgia e al talento degli attori l’essenzialità della scena ai Magazzini del Sale, in luogo di quell’imponente scenografia che in altri contesti subordinava alla fisicità spaziale quell’infinito puramente mentale cui può abbandonarsi “Delirio bizzarro” di e con Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi. 
Duttile e complesso il disegno luci di Roberto Bonaventura, a sottrarre o immergere i personaggi nel contesto, a immobilizzarli o a lasciarli verbalmente fluire. Scene, appunto, e costumi di Cinzia Muscolino contribuiscono alla rifinitura di quel luogo di confine entro il quale si tenterebbe di confezionare la sanità mentale. 
Se è vero che il folle sragiona molto meno di quanto si creda o forse non sragiona mai, allora c’è motivo di pensare che l’insania possa risiedere anche altrove. 
Un uomo e una donna lasciano così sfumare i contorni di protocolli da rispettare e, interagendo ciascuno alla propria maniera, si svincolano senza volerlo dai ruoli che la società ha imposto loro. Mescolando alienazione e assennatezza, assottigliando distanze, restituendo e restituendosi quella condizione umana senza logica, senza categorie alla quale la Legge Basaglia si sarebbe appellata. 
Un centro di salute mentale che è terra di frontiera, cattedrale ultima dell’identità interrotta, ospita Mimmo e Sofia, due solitudini in quel consorzio umano che li rende prigionieri di se stessi.
Mimmo sulla carta è pazzo, trascorre il proprio tempo interrogando le stelle e districandosi tra burocrazia e invalidità nemmeno fosse un impiegato dell’INPS. 
Sofia non è pazza, almeno sulla carta, risulta apparentemente integrata ed elegge la professione a ragione di vita, mentre la madre ordina bomboniere polifunzionali per un matrimonio che neppure si scorge all’orizzonte. 
Sulla sua scrivania un origamo, che deve stare diritto, a dispetto d’una vita che si diverte a piegare ogni cosa.
L’interazione tra Sofia e Mimmo è quel farneticare grazie al quale il braccio di ferro tra due esistenze opposte si risolve nella meno plausibile ma oltremodo umana spartizione della medesima scena esistenziale. Sono due solitudini cui la società rende arduo il compito di tirare avanti, ma sono due solitudini che sorridono e vivono. Grazie a esse non si operano nette distinzioni tra sanità e follia, tra certificante e certificato. Stare con l’altro è terapia. Come lavorare sulla lentezza, come privarsi di un paio di calze per condividere la propria puzza, il proprio percorso di vita, la propria personale insania.
Un percorso drammaturgico, quello intrapreso da Carullo e Minasi, che attraverso l’arte teatrale scava nella diversità. 
Ai Magazzini del Sale la versione “tascabile” dello spettacolo vincitore del premio Forever Young 2015/2016 acquista di fatto nuova poeticità e vigore. Ché quando è in scena l’uomo, con tutti quanti i suoi deficit e le sue anomalie, tutto il resto è secondario e accessorio. 

(da Infomessina.it)

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